Criminalizzazione mediatica antimaschile
Proviamo a riflettere sulle strategie di chi, autonominadosi
politically correct, maschera una faziosità endemica che da correttezza ed
imparzialità è lontana anni-luce.
Terminale di una strategia di criminalizzazione, con la
complicità dei media asserviti alla logica di Sistema
Derby a S. Siro:
scontri fra tifoserie, due accoltellati, alcune auto distrutte
Qualcuno ha mai azzardato la teoria MILANESI CRIMINALI?
Gli sforzi di tutti, dai commentatori televisivi ai cronisti
dei quotidiani, dal Questore ai vertici FIGC, convergono nel circoscrivere il
fenomeno ad una minoranza di teppisti, organizzati o cani sciolti che siano.
Portate le famiglie allo stadio, i veri tifosi non hanno nulla a che fare con
questa minoranza, etc.
Stesso principio per qualunque impresa dei vandali da
stadio, anche quando ci scappa il morto: per il poliziotto ucciso a Catania non
diventano criminali tutti i siciliani, per il tifoso ucciso a Genova non diventano
criminali tutti i liguri, per i pestaggi a Pisa non diventano criminali tutti i
toscani.
Ovvio: migliaia di eventi sportivi ogni settimana, se in tre
o quattro di questi si verificano degli incidenti - anche gravi - sarebbe folle
sostenere che gli italiani sono criminali.
Esiste una minoranza di violenti, da emarginare e condannare
pesantemente, ma la grandissima maggioranza è sana
Un centinaio di teppisti, decine di milioni di persone oneste
Manifestazione a Roma, 20.000 persone in piazza, dal corteo
si stacca un manipolo di infiltrati che mette a ferro e fuoco la città. I
filmati fanno il giro dei tg: mezzi dei Carabinieri in fiamme, finanzieri
aggrediti, la distruzione coinvolge vetrine, cassonetti, negozi, auto private
La comunicazione.
Quando un marito maltratta la moglie o quando un fidanzato uccide
la ex, sotto accusa è l’intero genere maschile.
Non “alcuni uomini”, tutti; in questo caso i distinguo non
esistono.
Le grandi firme del giornalismo, ma anche opinionisti da
operetta e professionisti della banalità, fanno a gara nel condannare il
comportamento del “maschio”, termine ormai trasformato in insulto.
Parte sempre lo stesso copione: gli uomini vanno rieducati,
sono immaturi, violenti, possessivi, incapaci di accettare la fine di un
rapporto, pronti a reagire solo col sangue … tutti sotto accusa come categoria,
non per caratteristiche individuali.
Per l’episodio di violenza domestica non valgono le stesse
logiche della violenza da stadio
Allo stadio la minoranza viene riconosciuta come tale, in
famiglia la minoranza diventa “tutti”.
Quanti rapporti finiscono? Che incidenza percentuale ha
l’episodio da cronaca nera? Coppie conviventi e coppie sposate, fidanzatini
adolescenti, amanti clandestini … le coppie scoppiano a centinaia di migliaia
ogni anno, forse milioni.
150 decessi, e “il maschio” italiano è criminale[1].
Non ho mai letto di una minoranza da isolare e condannare, non
ho mai sentito giornalisti, parlamentari ed opinionisti dire che la maggioranza
della popolazione maschile è sana.
Meglio sparare nel mucchio, meglio criminalizzare l’intero
genere, la strategia è questa
Terrorismo psicologico, ormai il popolo bue è aggiogato.
Come i fatti vengono riportati, come si utilizzano i titoli,
quali notizie passano sotto silenzio e quali vengono enfatizzate, quanto spazio
viene riservato e con quale ripetitività.
Sicilia, 2003
Un uomo viene ucciso dalla convivente con modalità
raccapriccianti: bruciato vivo, agonizza tra le fiamme davanti ad un bambino di
tre anni che assiste.
Ecco come la stampa nazionale ha riportato l’episodio
Il Messaggero di Roma, una dozzina di righe nella rubrica in breve
La vittima stava morendo di tumore, definito testualmente
“in fase terminale”. L’omicida però aveva fretta di incassare, meglio ammazzare
il convivente in modo barbaro piuttosto che attendere il decorso della
malattia. Non si tratta di un delitto d’impeto al termine di una lite
degenerata, ma è un delitto pianificato, attentamente studiato a tavolino con
tanto di complice, narcotico per stordire la vittima, trasporto in luogo appartato,
etc.
Forse la stampa locale avrà dedicato qualche spazio in più,
ma nel resto d’Italia una stringata sintesi del lancio ANSA è più che
sufficiente: a Roma dodici righe e il dovere di cronaca è rispettato, a Firenze
ne bastano sei, a Milano e Torino la notizia non esiste.
Poi il silenzio … dimenticare in fretta è la parola
d’ordine?
Se la vittima fosse stata una donna?
Inviati speciali delle varie testate, giornalisti e
telecamere delle reti televisive, copertura per giorni, settimane, mesi, interviste
ai parenti della vittima per farsi dire che aveva tanta voglia di vivere, agli
amici per farsi dire che era speciale, ai carabinieri che hanno arrestato gli
assassini, agli avvocati per confrontare le versioni, al giudice per carpire
qualche particolare del processo, all’assicuratore per sapere se con l’omicidio
la polizza è valida lo stesso, etc.
Melania Rea è diventata un caso mediatico, Simonetta
Cesaroni lo è ancora dopo vent’anni, anche dove c’è un colpevole assicurato
alla giustizia (Elisa Claps, Meredith Kercher, Alberica Filo Della Torre) il
caso non viene abbandonato da stampa e tv.
Ma la vittima ragusana è un uomo, del dolore dei parenti e
degli sviluppi del processo non interessa a nessuno, non vengono riportate
nemmeno le generalità o le iniziali puntate.
E’ politically correct solo enfatizzare il femminicidio.
Meglio mettere sotto i riflettori esclusivamente le vittime
femminili, altrimenti qualcuno potrebbe aprire gli occhi ed iniziare a parlare
pure di maschicidio.
[1] La massima condanna per
gli autori ed il massimo rispetto per le vittime, ma 150 decessi ogni anno non
sono la prima causa di morte per le donne italiane, come la propaganda vorrebbe
far credere.
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